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SPAZZATI VIA DALLA STORIA SENZA NEPPURE FARE IN TEMPO AD ABITUARSI

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Di tutta questa vita rammenti qualcosa, ma non ti ricordi quasi di nessuno. Hai portato con te solo il sufficiente per vivere.

«Ancora non lo sai, ma nei tuoi venti giri di campo stai imparando quello che adesso capisci: il tempo non è fugace. Il tempo è una meteora della quale tu sei poco più che pulviscolo. Neppure ci si abitua a un’epoca, ai suoi usi, alle abitudini, alla cultura e — zac! — quell’epoca viene spazzata via dalla storia. E tu lì, a raccoglierne il ricordo, i segni, la memoria. Solo così puoi capire con un colpod’occhio, quanto sia diversa la Gozzano di oggi da quella che sciamava di operai, vociava di bambini, pullulava di magliaie e padri di famiglia che portavano a casa pezzi di rubinetti, da rifinire, da cromare, da tornire, nelle sere dopo le otto ore, per trasformare il lavoro della fabbrica in occasione di benessere. Non c’è più il cinema. Non c’è più la pizzeria. Non ci sono più i cavalli degli Zucca, sì, quelli del liquore al rabarbaro. Ma soprattutto non ci sono più le fabbriche. Non c’è la Bemberg, non c’è la Bialetti, rimangono poche rubinetterie, ma l’Italia ha rinunciato da tempo a essere industriale e industriosa. Le promesse della modernità non sono state mantenute. A chi si è dato da fare, ha lavorato una vita, la vita sta restituendo un sonoro ceffone. Il Novecento non è stato solo il secolo breve, ma è finito anche male, con quello sberleffo malinconico che troviamo in tanti scorci di un paese che chiude. È arrivato il vuoto con una forza distruttrice senza pietà.

Il mondo cambia continuamente. Lo riesci a capire solo se non fai finta di non vedere. Se stai chiuso insieme agli altri dentro l’oratorio te ne accorgi troppo tardi. La solitudine, a volte, serve anche a salvarsi la vita. A non credere a quello che tutti ti dicono, a non trovare conforto nell’opinione condivisa e molto spesso sbagliata. La lezione che impari dai venti giri di campo resta quella che riempirà alcuni dei momenti più struggenti della tua vita, quando pensi a Gozzano, ai castagni, ai cespi di chiodini, all’odore del bosco bagnato e delle foglie cadute, ai sacchi di marroni, allo scorrere sommesso dell’Agogna. A quello e a tanti altri paesi sparsi per l’Italia fatti di sassi, castelli, mulini, viuzze, mercati, stemmi, finestre, basiliche, archi, absidi, viottoli, torri, meridiane, fabbriche, seminari, lavatoi, stazioni, cortili a ringhiera, strade strette, botteghe dalle insegne antiche, resti di qualche vecchia osteria, del silenzio delle salite tortuose, delle case dei notabili di un passato dimenticato, delle panchine, delle viti rampicanti, dei lampioni, delle biblioteche, dei portoni, delle cascine, i cortili, le persiane, i terrazzi, le bandiere, le scuole, i crocifissi, le ciminiere, i viali alberati, le lapidi, le statue, i giardini, le chiese, i cimiteri, la baraggia, le sterpaglie, le piazze, le persone, la vita quotidiana… Insomma, un paese. Nel quale bisogna pur sempre tornare, perché lì qualcosa di te è rimasto. Allora all’improvviso capisci: per chi è nato in un posto il paese è custodito dentro. Per chi semplicemente vive in quel luogo un paese è solo un ricordo. Per uno è casa. Per l’altro abbraccio, profumo di legna da camino, vento tra i capelli, boschi, brughiera, foglie colorate d’autunno. Per uno è la vita. Per l’altro uno spicchio di giovinezza. Ma dei due nessuno sa chi lo ama di più. O chi maggiormente l’ha odiato. Sai, questo sì, che non saresti l’uomo che sei se non fossi passato di lì. Di tutta questa vita rammenti qualcosa, ma non ti ricordi quasi di nessuno. Hai portato con te solo il sufficiente per vivere. Te stesso».

Tratto da Il suono della solitudine. In libreria e on-line.

SPAZZATI VIA DALLA STORIA SENZA NEPPURE FARE IN TEMPO AD ABITUARSI was originally published in Michele Marziani on Medium, where people are continuing the conversation by highlighting and responding to this story.


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